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Le urla (beluine) della senatrice Finocchiaro, durante il dibattito sulla approvazione della manovra governativa, sono purtroppo il segno della opposizione.
Una opposizione che, in nome di uno sterile antiberlusconismo, rinuncia sistematicamente ad una qualsiasi incisività, relegandosi in un solipsismo rituale masochisticamente consolatorio ed assolutorio.
Il rivendicare un dovere di essere ascoltati, così come ha fatto la senatrice Finocchiaro, è lo specchio sconfortante di questa situazione.
Anzitutto esiste un diritto ad esprimere la propria opinione, ma non quello di essere ascoltati e meno che mai quello che impone agli altri di accettare le nostre opinioni. Tutto ciò avviene nel processo comunicativo attraverso il dialogo.
E' questo ciò che questa opposizione non riesce a comprendere perchè vuole vincere e non convincere. Una opposizione che vede la maggioranza come un nemico e non come un interlocutore.
In questa situazione è difficile essere ascoltati, se non si vuole ascoltare.
E' abbastanza facile capire come una posizione del genere sia un suicidio politico quando invece servirebbe ben altra capacità e strategia politica.
Servirebbe una opposizione capace di una ventata d'aria fresca e di un colpo d'ala, com giustamente si invocano in questi tempi.
Purtroppo questa opposizione vola basso sopra una aria stantia e stanca.
Ed allora le grida della sentrice Finocchiaro sono grida di disperazione e non di forza, di sconforto e non di speranza,di aiuto e non di forza.
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l’obiettivo principale di Generazione Italia è contribuire alla crescita
della classe dirigente che dovrà cambiare il nostro Paese nei prossimi dieci
anni, rendendolo istituzionalmente migliore, meritocratico e maggiormente
competitivo.
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Alla nera forca, amabile moncone,
danzano, danzano i paladini,
i magri paladini del demonio,
gli scheletri dei Saladini!
Messer Belzebù tira per la cravatta
i suoi piccoli neri fantocci che fan smorfie al cielo,
e picchiandoli in fronte con la ciabatta
li fa danzare sulle note d'un vecchio Natale!
E i fantocci scioccati intrecciano i loro gracili braccini,
come neri organi i petti squarciati
che un tempo stringevano dolci donzelle
cozzano a lungo in un amore immondo.
Urrà per i gai danzatori che non hanno più pancia!
Possono fare giravolte, perché il palco è così grande!
Op! Che non si sappia se è danza o battaglia!
Belzebù irato coi suoi violini raglia!
O duri talloni, non usate mai sandali!
Quasi tutti han tolto la camicia di pelle!
Il resto non impaccia si guarda senza schifo.
Sui crani la neve posa un candido cappello:
la cornacchia è un pennacchio sulle incrinate teste,
un brano di carne trema sul mento scarno:
si direbbe vorticante nelle oscure resse
di prodi, rigide armature di cartone.
Urrà! La tramontana soffia al gran ballo degli scheletri!
La forca nera mugola come un organo di ferro!
E i lupi rispondono da foreste violette:
all'orizzonte il cielo è d'un rosso inferno...
Olà, scuotete quei funebri capitani
che sgranano sornioni tra le dita spezzate
un rosario d'amore sulle vertebre pallide:
questo non è un monastero, o trapassati!
Oh! Ecco, nel mezzo della danza macabra
nel cielo rosso un folle scheletro avanza
di slancio, e come un cavallo impenna:
e, poiché al collo la corda è stretta,
raggrinza le dita sul femore che scricchiola
con grida simili a ghigni
e come un acrobata che rientra nella sua baracca
rimbalza nel ballo al canto delle ossa.
Alla nera forca, amabile moncone,
danzano, danzano i paladini,
i magri paladini del demonio,
gli scheletri dei Saladini!
Arthur Rimbaud
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